Mi vede scendere con l'aria un pò malinconica.
Salgo le scale del sottopassaggio (con non poca fatica, data la mole del mio trolley) e lui mi sta aspettando.
A tirarmi su il morale è la sua frase: -Dammi il trolley, te lo porto io.
Gege non è un ragazzo normale.
Cioè, non venga fraintesa questa mia frase: lui è perfettamente un essere umano dotato d'intelligenza e di tutti gli organi vitali che servono; ma -ebbene sì, c'è un "ma"- lui pensa che, avendo noi donne voluto avere la nostra emancipazione e indipendenza, è giusto che questi valori per i quali abbiam lottato non vengano sminuiti, pertanto secondo lui non sarebbe un atto di galanteria quello di portarmi la valigia, ma solo un modo per dire "Te la porto io, uomo, perché tu sei donna e fai fatica"...
Invece, quella sera ha voluto tirarmi risollevarmi il morale portandomi il trolley, ed io l'ho molto apprezzato.
Fuori dalla stazione c'era suo papà in macchina, che ci aspettava.
Una volta ricevuta la chiamata dei miei che mi dicevano di esser tornati a casa vivi, abbiamo cenato e poi controllato i rispettivi bagagli.
Poi ci siamo guardati un film, mentre fuori scendeva la neve.
La notte abbiamo dormito abbracciati, consapevoli che esattamente ventiquattr'ore dopo avremmo ripetuto la stessa scena ma in un'altra nazione, in una capitale tutta nuova da visitare, scoprire, annusare, amare.
La mattina la sveglia suona alle 4,30. Abbiamo il volo alle 8,20. La chiusura del gate è alle 8.
Ci prepariamo, beviamo un thè caldo e un caffè.
Io corro in camera a prendere il trolley, da caricare in macchina, e, agguntando la mia fotocamera che era sul letto... Mi cade per terra.
DAMN!
L'accendo per vedere se funziona: si accende... Ahimè il flash non funziona.
Fotocamera a puttane giusto poche ore prima di arrivare a destinazione.
Non è resistita, anche solo per fermare l'immagine della Porta di Brandeburgo.
La macchina è carica, e fuori nevica grosso quanto una palla da ping-pong. Perdipiù ha nevicato anche durante tutta la notte, e si è fermata.
Ora sono preoccupata per i genitori di Gege. Non m'importa se non riusciremo a partire: voglio solo non accadano delle cose tragiche, specialmente con le strade così brutte.
Il viaggio verso Malpensa dura un'eternità, giustamente, perché ci vuole prudenza. E arriviamo in aeroporto alle 7,45.
Mi sento come in un film d'azione: dobbiamo riuscire a passare l'enorme fila in coda al controllo bagagli, trovare il gate, passare all'imbarco, il tutto in quindici fottuti minuti... e sperare che con tutta quella neve, il nostro volo parta.
Cosa ci faccia tutta quella gente il sei dicembre a Malpensa, ancora me lo chiedo:
famiglie con bambini, uomini d'affari (loro cosa ci fanno lì lo comprendo bene, e l'invidio anche: viaggiano per lavoro), coppiette.
Una di quest'ultime non passa il controllo perché non ha stampato il check-in online con la carta d'imbarco, quindi è costretta a tornare indietro.
Nella mia mente penso: "Che sfiga: arrivi al controllo bagagli, dopo aver fatto una coda infernale e non hai i documenti per partire. Per fortuna io, questa volta, ho tutto".
Gege passa sotto al metal-detector e suona: non ha tolto la cintura? Sì, la toglie e ripassa.
Intanto il tempo scorre e io scalpito mentre rimetto il netbook dentro al bagaglio.
Suona di nuovo. Cosa sia non si sa.
Al terzo tentativo lo fanno passare, e scatta la corsa al gate.
Arriviamo al fatidico Gate19: il volo per Berlino c'è, e c'è anche un sacco di gente che aspetta di entrare. Le porte sono chiuse.
Tiro un sospiro di sollievo perché riusciremo, forse, a partire. Se solo il tempo vuole.
Passano una decina di minuti, e mentre aspettiamo, arriva la coppia che non aveva stampato la carta d'imbarco. Alla fine ce l'hanno fatta.
"Bene, ora che abbiamo aspettato anche sti ritardatari, per quale cazzo di motivo non ci fate salire?".
Alle 8,30 arrivano le hostess, aprono i cancelli e in poco siamo in aereo.
Certo è che le condizioni metereologiche non sono delle più rosee.
Pensavo che, entrati in aereo, tempo mezz'ora e saremmo partiti.
Ne passa una intera prima che si accendano i motori.
E finalmente partiamo.
Del viaggio in aereo, solitamente, mi piace guardare i paesaggi dall'alto, come cambiano velocemente.
Nevicando, sotto di noi si vedeva bianco, o il nulla, quindi mi son fatta piacere il carrello di cibi.
Il thè caldo di Starbuck's non ne valeva il prezzo improbabile, come nemmeno il muffin e il caffè di Gege.
Alle 10,30 atterriamo a Shonefeld, e la prima cosa che facciamo è notare anche lì il tempo è orribile e che vogliamo assolutamente trovare un bagno. Ma la prima cosa che ci fanno appena atterrati, due sbirri tedeschi, dai baffi bianchi (baffi a manubrio, tipo Magnum P.I.!) e dorati, le pance gonfie dalle probabili troppe birre e gli occhietti piccoli e gelidi (tipici dei nordici), ci fermano per controllare le borse.
Probabilmente abbiamo la faccia da teppisti/terroristi.
Ci lasciano andare giusto in tempo prima di vedere la mia vescica scoppiare e imbrattare di urina tutta l'ala degli arrivi.
Con la vescica integra, finalmente usciamo e Gege compra le sue prime sigarette tedesche, nel pacchetto da 25, anche se dentro ce ne sono 22 (o 23?).
Ci dirigiamo alla fermata della metro dell'aeroporto, prendiamo i biglietti, consapevoli di dover aspettare un sacco prima di arrivare in centro.
La metropolitana/ferrovia di Berlino è super incasinata.
Berlino ha una metropolitana sotterranea ed una in superficie, chiamate U-bahn quella sottoterra, e S-bahn che è la ferrovia urbana.
Gege immortalato durante l'attesa della S-Bahn appena usciti dall'aeroporto.
A portarci all'albergo dovrebbe essere la S-bahn 45. Durante il tragitto però preferiamo scendere ad una fermata a caso (Bundes-Platz), per fare l'abbonamento ai mezzi per cinque giorni (per il quale ci partirànno solo 25 euro!).
Prima esperienza sulla S-Bahn - Faccio impressione coi capelli castani!
Aspettando il treno successivo, vediamo del cibo dall'aspetto veramente tedesco: i Currywurst.
Sono, nientepopòdimenoché, gli hot-dog, con il wurstel diverso da com'ero abituata a vederli, poiché pallidi.
La cosa peggiore è che in Germania non esiste la maionese. E io odio la senape.
Al modico prezzo di 1,50 euro, ne prendiamo uno a testa. Ed era buonissimo anche solo col ketchup.
Risaliamo sulla la prima S-bahn (la ring line, che fa tutto il giorno il giro attorno alla città) alla volta di Hohenzollerndam, fermata in cui scendiamo e iniziamo la lunga camminata verso l'albergo, il Berlin City Messe.
Intanto anche lì nevica.
Arriviamo dopo dieci minuti all'hotel un edificio gigante, l'unico che svetta in una zona residenziale. Davanti passa una ferrovia.
Noi entriamo e chiediamo di poter posare i bagagli nella nostra camera, che è al quinto piano.
E' una stanza piccola, dalle pareti verde acqua tenue, con due letti separati (anche se avevamo specificato di volerlo matrimoniale) ed una finestrella, fuori dalla quale Gege metterà ogni sera fino a venerdì, le sue fetide Vans (infatti a Natale gli ho regalato delle scarpe nuove, sempre Vans, ma meno puzzolenti).
C'è anche un televisore, un piccolo lavandino e una scrivania, un altrettanto piccolo armadio.
Zoologischer Garten
Da buona ospite leggo il regolamento, per scoprire che la fermata più vicina che ci porta in centro è Heidelberger Platz, a soli cinque minuti da dove alloggiamo, e ha sia U-bahn che S-bahn.
Scendiamo e ci dirigiamo alla fermata Zoologischer Garten.
Non appena risaliti in superficie ci rendiamo finalmente conto di non essere più in Italia.
La città è agghindata a festa: luci natalizie ovunque, bancarelle che vendono cibo e piccoli oggetti pronti da regalare. Jingle Bell e canti natalizi in qualsiasi forma.
L'unica pecca, per Gege, è il caffè.
Inutile soffermarci troppo sull'argomento, perché il caffè all'estero ha sempre il gusto peggiore. Senza contare che per chiederne uno decente è d'obbligo specificare di volerlo "corto", che comunque in Italia sarebbe in grado di riempire l'intera tazzina.
A questo punto immaginate di vedere una bar/bancarella con sopra scritto "Bell'Italia", e che come marca di caffè c'è la Segafredo: ci entri per forza. E poi ti trovi a dire "beh, anche se non è il massimo, siamo ugualmente fuori dall'Italia!".
"Bell'Italia". Non ne vado fiera, eh!
Nonostante il freddo terribile giriamo tutto il tempo possibile tra bancarelle e negozi, e finiamo per trovarne uno di musica, immenso e pieno di cd, dvd e vinili fantastici.
Entrambi usciamo da lì acquistando dei regali di Natale, Gege quelli per i suoi amici, io con un cd dei The Beatles per il mio babbo.
Fuori è già tramontato il sole, e per sconfiggere il freddo ci infiliamo in due centri commerciali immensi, per poi uscirne alle 19,30, decidendo di far provare a Gege le brezza di mangiare KFC. Io evito invece, poiché non amo il pollo.
Mezz'ora più tardi fumiamo una sigaretta, e ammirando un coraggioso ragazzo che cammina in maniche corte, arriviamo alla conclusione che, con noi, il freddo ha avuto la meglio: c'incamminiamo verso la fermata metro, alla volta della nostra stanza, fermandoci solo per comprare delle caramelle gommose, che saranno la mia cena.
La fermata di Heidelberger Platz, coi suoi simboli massonici.
Al City Messe prendo il mio cambio e il pigiama, e corro a testare le docce del bagno in comune.
Per le 22,00 siamo già sotto le coperte, pronti a pianificare le giornate successive, prima di spegnere le luci e pensare:
GUTEN NACHT BERLIN!
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